NEW YORK, APRILE 1929

 

Strana primavera, quella del ’29. La stagione era inoltrata ormai, ma il freddo pareva ignorare ogni regola meteorologica.

Strascichi dell’inverno più gelido degli ultimi anni s’insinuavano imperturbabili tra altezze vertiginose, sbuffando sulle ripide pareti degli sky-scrapers. Il secolo era iniziato all’insegna dei cambiamenti e a New York i sogni ambiziosi prendevano forma in enormi strutture di acciaio e cemento, il cui slancio verticale sembrava sfidare ogni limite e puntare dritto al cielo. Giorno dopo giorno, come braccia spigolose, palazzi altissimi sorgevano in ogni quartiere, a sostituire senza un ordine preciso le vecchie costruzioni coloniali.

In quella notte di fine aprile un forte vento soffiava sulla città.

Davanti a un jazz club un uomo raggomitolato nel suo cappotto ascoltava le note scivolare fuori dal locale e riecheggiare nel vicolo. Suonavano pezzi vecchi, a quell’ora. Il pianista aveva appena recuperato dal suo repertorio un classico – Maple Leafe Rag gli pareva fosse il nome esatto - e la musica sincopata, dal ritornello insistente, avanzava facendo a brandelli il ritmo, proprio come voleva il nome di quel genere musicale chiamato ragtime.

A Smoke non piaceva la musica. In realtà, non gli piaceva niente che non fosse strettamente legato al suo appagamento: un buon sigaro, un bicchiere di whisky – e lui sapeva dove trovarne di ottima qualità, a dispetto delle leggi proibizioniste –, una bella donna…

Un bel rotolo di banconote, soprattutto. Come quello che stava per guadagnarsi quella notte. Sfregò le mani, infreddolito, e cominciò a innervosirsi.

Se mi fanno aspettare ancora, aumenterò il prezzo.

Quanto poteva valere un paio di chiappe congelate? Con quel tempo, avrebbe dovuto starsene nel suo appartamento e non in mezzo a una strada ad aspettare come un idiota. Indossava un doppiopetto di lana alla moda, modello British Worm, e un cappello gli proteggeva il volto affilato, ma nonostante il soprabito fosse pesante, il freddo era impietoso e lo costrinse a battere anche i piedi per riscaldarli un po’.

Altri cinque minuti e raddoppio la posta.

Tirò su il bavero e si accese una sigaretta. Una sottile scia di fumo seguì la brezza, salendo verso il cielo grigio, mentre la musica proveniente dal club terminava con un brusco accordo.

«Smoke».

Era ora!

Si volse con estrema calma verso la voce.

«Sei in ritardo». Aspirò una boccata di fumo, poi gettò la cicca. «Stavo per mandarvi a quel paese, te e i tuoi amici danarosi».

Una luce filtrava dal cielo via via che le nuvole svanivano risucchiando le ombre notturne.

«Non lo faresti mai» replicò il nuovo arrivato. «I soldi ti piacciono troppo. E sai che con questo incarico puoi guadagnarne così tanti da non dover mai più lavorare». Si strinse nel cappotto. «Senza troppi sforzi, per di più».

La musica stracciò di nuovo il silenzio, in un gioco di note ossessive e funamboliche. Smoke riconobbe il pezzo.

The Entertainer.

Stavolta non ebbe dubbi sul titolo. Aveva ballato per ore sulle note di quel brano.

Quando ero giovane…

Il ricordo lo infastidì; era l’unica melodia che fosse mai riuscito a memorizzare. Fece un cenno all’uomo che gli stava di fronte, indicando il club dall’altro lato della strada.

«Se posso darti una dritta, non andare mai in quel locale» disse. «Fanno musica antiquata».

L’individuo ignorò la battuta.

«Ascoltami bene, Smoke. Tenteremo di convincere il professore a venderci il brevetto, per assicurarci che nessuno mai possa avere accesso ai piani e costruire quella macchina. In caso di fallimento, lo spingeremo ad abbandonare il progetto». Trasse una busta piuttosto voluminosa dalla tasca interna del soprabito. «Ma quell’uomo è testardo. Perciò, se nessuna delle due cose funzionasse, toccherà a te occuparti della faccenda».

Smoke tese una mano a prendere il plico. Lo soppesò.

«Ci sono istruzioni particolari?».

«Nessuna, se non che l’oggetto deve essere eliminato e i progetti distrutti». La musica tacque di nuovo, all’improvviso. Ci fu una pausa in cui l’unico rumore fu quello del vento che si abbatteva con forza sulla via. «A qualsiasi costo».

Smoke aprì la busta e ne controllò il contenuto, poi la piegò e la ripose nella tasca del cappotto.

«Per il momento limitati a tenere d’occhio il professore» dichiarò l’altro. «Qualcuno ti contatterà nel caso tu dovessi intervenire. Non farti scoprire e a lavoro terminato avrai il resto».

«Se sarà necessario, sembrerà un semplice incidente, non temere» lo rassicurò Smoke, tirando ancora più su il bavero. Estrasse il portasigarette e lo offrì all’uomo, che rifiutò con un’alzata di spalle.

«Prepara i soldi» disse allora «ci rivediamo tra qualche settimana». Con le dita intirizzite, accese una nuova sigaretta, rispose con un leggero movimento del capo al saluto dell’altro e si allontanò col cappello calato sul viso.

Danzando sulla scia del vento, le note dell’ennesimo vecchio brano lo inseguirono fino in fondo al vicolo.